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Ciance sparse: Coviddimmerda e orecchini perduti

Ahhhh miei cari spelacchiati, che palle sto periodo, qualcuno mandi avanti veloce col telecomando per favore. Facciamo che ci rivediamo a giugno 2025, per star tranquilli?

Visto che siete così carini a preoccuparvi per la mia salute vi aggiorno; continuo a non stare bene, in maniera abbastanza fastidiosa ed evidente adesso.

Sono giorni che ho un senso di affaticamento e spossatezza abbastanza fuori dal comune pure per me che sono un mollusco sedentario e privo di qualsiasi capacità motoria; io e il Batterino siamo andati al bar a piedi, un’incredibile camminata di circa due minuti, ho dovuto fare due pause e al ritorno sono quasi svenuta.
Ho sistemato un po’ l’appartamento di Mr Batterino e nuovo giro di tachicardia e fiato corto, mi sono dovuta sdraiare e mi sono addormentata di botto per due ore (dormire di pomeriggio di solito mi è impossibile).
Fare una rampa di scale in questo momento mi mette a durissima prova, arrivo su che mi devo piegare sulle ginocchia come i vecchi e rifiatare.

Insomma sono come un pokèmon esausto che ha bisogno dell’infermiera Joy, quindi venerdì visita dalla doctor sperando mi dia qualche soluzione miracolosa o ponga direttamente fine alle mie sofferenze con una padellata in testa.

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Intanto l’altra sera si è consumato un dramma che non ha niente a che fare con la mia salute.
Per Natale quel pazzo di un Batterino mi ha inondata di gioiellini: un anello, una collana e un orecchino. Io che sono una gazza ladra sono impazzita di gioia.

Ieri sera a cena il Batterino mi fa “Ma l’orecchino?”
Io, scema come una biglia, tiro indietro i capelli e comincio ad agitare la testa per far sbrilluccicare il suddetto orecchino.
Mr Batterino mi fissa come se fossi deficiente, cosa che in effetti sono, quindi niente di strano.
“Ma te lo sei tolto?”
Panico.
No che non me lo sono tolto, ce l’ho su da quando me l’ha regalato!
Mi ficco una mano sull’orecchio: niente.
Mi infilo un dito nell’orecchio fino al cervello: NULLA.

Partono le spedizioni di salvataggio, chiamo i sommozzatori, avvio una battuta di ricerca che nemmeno il padre di Nemo mi fa concorrenza: NADA.

Quindi ho fatto quello che chiunque sia pazzo quanto me avrebbe fatto: sono scoppiata a piangere per circa due ore, alternando i singhiozzi a frasi tipo “NON MI MERITO I TUOI REGALI NON PRENDERMI MAI PIU’ NIENTE SONO UNA CACCA UMANA!”
Insomma una cosa così sciocca ha scatenato in me una reazione fortissima, ovviamente legata a tutte le mie paturnie mentali di cui vi ho già parlato tantissimo; mi sentivo irrispettosa nei suoi confronti, di averlo deluso, di non aver dato abbastanza importanza al suo regalo e altre duemila cose, mannaggia.

Mr Batterino basito ma super dolcino mi consolava. Più che dolcino era dolcissimo, praticamente fatto di marzapane.
Mi verrebbe da dire marzapene senza alcuna ragione, solo perché mi fa ridere, ma forse evito. O forse no e lo pubblico così, chissà.

Alla fine l’indomani ho fatto l’unica cosa che andava fatta: ho chiamato la sola, l’unica, l’incredibile MADRE SUPERIORA, che è il nome con cui ho salvato in rubrica il numero di mia mamma.
“MAMMA SONO DISPERATA HO PERSO L’ORECCHINO AIUTAMIIIII GUARDA SE E’ A CASAAAAAAAA TI PREGOOOOOOOOOO SE NO DOVRO’ AMPUTARMI L’ORECCHIO COME VAN GOGH E POI SARO’ ASIMMETRICA E PENDERO’ DA UN LATO, CADRO’ SEMPRE A SINISTRA, UNA VITA ROVINATAAAAAA”
Mia mamma ha fatto un sospiro di circa venti minuti, praticamente è andata in apnea; perché dovete sapere che almeno sei o sette volte al giorno io non trovo qualcosa e chiedo a lei, che con il suo superpotere riesce a risalire a qualunque oggetto, vestito o cianfrusaglia.

E anche stavolta il suo superpotere non ha fallito.

“Testa di razzo, era sulla tua scrivania, DEFICIENTE.”
“…Ah. Batterino, puoi ancora ricoprirmi di regali, allarme rientrato, merito di tutto e di più.”

Sì insomma, una serata terribile.
Il commento del Batterino a un certo punto è stato “non pensavo l’avrei mai detto ma preferisco quando mi bagni il cuscino di bava che di lacrime.”

Ora me ne vado a cena con due mie amiche, serata giro pizza quindi conto di prendere almeno nove chili in una mangiata sola. L’orecchino mi sa che lo lascio a casa.
E voi come state, miei prodissimi? Vi è mai capitato di perdere un regalo o qualcosa a cui tenevate tanto? Spero abbiate reagito in modo meno pazzo di me, ma narratemi tutto!
Hasta la pastaaaaaa!

Allego foto dei regalini bellissimi:

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Ciance sparse: umore nero e traumi da palcoscenico

Oggi sono lugubre.
Di umore nero pece.
Incatramata e incatramita come la mamma gabbiana di “Storia di una gabbianella e il gatto che le insegnò a volare” di Sepulveda (se non lo avete mai letto fatevi un favore e leggetelo, perché scalda il cuore.)

Non so bene cosa stia succedendo nel mio cervello bislacco e chiaramente menomato, ma oggi è una di quelle giornate in cui mi detesto profondamente e vorrei uscire dalla mia pelle per un po’; il povero Mr Batterista non sa che pesci pigliare, vede che sono strana e taciturna ma non capisce perché.
Come Vasco Rossi anche lui cerca di trovare un senso ma io un senso non ce l’ho e non so come spiegargli che quando sono di questo umore irrazionale e sinceramente imbecille mi odio così tanto che proietto il mio orrore verso me stessa sugli altri e voglio solo isolarmi per non costringerli a vedere il mio brutto muso e avere a che fare con il mio carattere. Il mio testolino bacato è settato in modalità “guarda che ti odiano tutti, fai schifo” e mi sento a disagio a rivolgere la parola a chiunque, Mr Batterista o familiari compresi. Anzi, con loro anche di più, perché mi sento orrenda dentro e fuori e il loro parere sulla mia persona per me vale mille (LABBRA ROSSO COCA COLAAAAAA DIMMI UN SEGRETO ALL’ORECCHIO STASERAAAAAA)

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Detto ciò, giusto perché spero che possa sempre essere utile leggere che ci sono persone che provano queste cose e magari qualcuno si sente meno solo e meno pazzo, ora passerò ad argomenti molto più cretini.
Molto più cretini.

Qualche giorno fa è successa una cosa da cui sto ancora cercando di riprendermi.
Mi sento violata nell’anima.
Credo non riuscirò mai più a tornare la spelacchiata di prima, ho vissuto un’esperienza che mi ha segnata troppo profondamente; una donna cambiata irreparabilmente da ciò che ha vissuto.
Come avrete già capito da molto tempo io sono la persona più inadatta alla vita e alle situazioni sociali del mondo; per farvi capire, probabilmente divento di almeno sette tonalità di rosso anche solo se devo richiamare l’attenzione di un cameriere al bar per chiedere qualcosa.
Se più di due persone mi fissano vorrei sprofondare nell’entroterra e sbucare dall’altra parte del nostro pianeta in rovina.
Quindi voi capirete che per me, che sono un paguro bernardo che vorrebbe solamente stare ritirato nel suo guscio conchiglioso, quello che è successo l’altra sera mi è quasi stato fatale.
Cosa è successo?
Sono dovuta salire su un palco.
Pensavo di morire.

Voi immaginate il mio stato d’animo quando mi hanno chiesto di fare qualche foto dal palco E POI IL GESTORE DEL LOCALE MI HA ACCHIAPPATA E TRASCINATA DAVANTI PER UMILIARMI PUBBLICAMENTEEEEEEEEEEEE! Mi ha presentata come la fidanzata di Mr Batterista, che intanto stava per ribaltarsi dal ridere, QUEL PIRLA INFAME!
No regà mi è stato quasi fatale, pensavo di avere un infarto davanti a tutti. Un finale col botto, e il botto ero io che saltavo in aria dall’imbarazzo.
Avete presente una mentecatta che non ha idea di come stare al mondo? Ecco, sono precisamente io, che in tutto ciò non avevo la minima idea di cosa cazzo fare quindi me ne stavo lì immobile tipo cerbiatto davanti ai fari di un tir mentre quel tizio diceva scemenze e la piccola folla urlava cose a caso.

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Diapositiva di me che volevo solo rientrare nel mio guscetto e perire

Quando sono riuscita a squagliarmela sono rimasta in silenzio per dieci minuti in un angolo a rimuginare su quante possibilità ci fossero che qualcuno mi acciuffasse prima che io potessi raggiungere il Messico a piedi, di corsa.
Non andrò mai più ai concerti di Mr Batterista, nessuno mi vedrà mai più.

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In tutto ciò la mia convivenza con Mr Batterista prosegue, ma siamo quasi all’epilogo.
Quel tonto di mio padre è ancora positivo a sto cazzo di Coviddimmerda ma a quanto pare sono cambiati i regolamenti e da domani sarà un uomo libero nonostante la positività, il che significa che potrò tornare ad avere un tetto sulla capoccia.
Ammetto che sento già che mi mancherà non avere Mr Batterista intorno così tanto, e che stare a studiare tutto il pomeriggio è molto più piacevole sapendo che poi lui entra dalla porta e possiamo stare insieme a pirleggiare.
Credo invece che lui stia facendo il conto alla rovescia con un’impazienza che nemmeno a Capodanno; in camera sua sono comparsi dei segnetti sulla parete come nelle celle dei carcerati, sta contando i giorni di prigionia. Pover’uomo. Ha la pazienza di un santone indiano nonostante io sia un gerbillo cretino la maggior parte del tempo.

E voi miei cari spelacchiati come state? Vi state strappando gli ultimi peli rimasti per cercare di stare più al fresco? Siete su una spiaggia deserta a ingurgitare Mojito e fritto misto? O come me state studiando come dei Giacomo Leopardi dei poveri per cercare di passare mezzo esame a settembre?
Narratemi di tutto e ancora di più, che vi adoro!
Hasta la pasta!

Ps: mi rifiuto di parlare della situazione in Afghanistan su questo piccolo blog indegno, però ieri leggendo certe notizie mi sono messa a piangere. Tutt’ora mi vengono i brividi ogni volta che leggo qualcosa di sempre più agghiacciante.
Dico solo: informiamoci tutti. Non possiamo rimanere ignoranti ad eventi come questi; per quanto lontani da noi e quasi impossibili da credere veri informarsi e fare qualcosa nel nostro piccolo è un dovere.

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La storia della mia depressione, parte 1

Buongiorno miei adorati Spelacchiati, come state?
Oggi vorrei fare un post diverso dal solito imbecille a cui vi sto abituando con la mia idiozia.
Oggi vorrei iniziare un racconto serio della mia depressione. Non so perché, forse sto cercando di capire come raccontarla a Mr Batterista, forse le sedute con la psicologa stanno andando bene e voglio guardare da dove sono partita. Forse spero che anche soltanto una persona leggendo queste righe possa sentirsi vagamente meno isolata.
Insomma regà, oggi peso. Vi chiedo già scusa, e se non avrete voglia di leggere avete tutta la mia spelacchiatissima comprensione.

Cominciamo?
Via.

Non so bene quando sia cominciata questa cosa. Questa sensazione spossante di stanchezza, di noia, di non voler far niente. Può essere che sia stata sempre così, fin da bambina, una specie di tratto caratteriale bislacco che poi si è evoluto in qualcosa di decisamente problematico.
Credo di aver cominciato ad avere un problema all’ultimo anno di liceo: ero sempre stata una studentessa bravissima -matematica a parte, facevo, faccio e farò per sempre cagare coi numeri- e all’improvviso ero svogliata e sbuffavo quando i professori mi chiamavano. Dormivo poco e male, prendevo voti più bassi e stavo spesso a casa.
Poi è iniziata l’università, io dormivo sempre peggio tanto da passare notti di fila insonni; una volta è venuta la guardia medica a darmi una specie di sedativo, non ricordo bene, perché avevo tremori incontrollabili e mi sembrava mi si stesse spaccando il cranietto dal mal di testa. Non dormivo da più di 50 ore.

Piangevo ovunque. Appena ero da sola scoppiavo in lacrime. Sul treno per tornare a casa, in bagno quando mi ci rifugiavo durante le cene, di notte nel mio letto. Con gli altri cercavo di dare una parvenza di normalità, anche se non ero più la persona solare di sempre.

Passano i mesi e gli anni, e io mi ripetevo che era una fase, un “momemento no”.
Solo che era molto peggio di un momento no.
Era come se tutte le emozioni positive le sentissi molto attenuate, come se a viverle fosse un’altra persona, mentre quelle negative mi travolgevano con intensità moltiplicata per dieci. Insomma, ‘nammerda.
Mi capitava quello che si chiama “depersonalizzazione” o “derealizzazione”: mi sentivo fuori dal mio corpo. Non ero io a vivere le situazioni, era come guardare un film. Un film tra l’altro particolarmente noioso, e io ero sempre sul punto di addormentarmi; mi sentivo in un limbo strano, molto distante da tutto.
“Ma queste persone stanno parlando con me? mi hanno chiesto qualcosa? Non mi ricordo cos’ho fatto dieci minuti fa. Dov’ero ieri a pranzo?”.
E’ una sensazione quasi inspiegabile a parole, me ne rendo conto.
Non ero più io, ero un fantoccio che si muoveva e respirava per inerzia.
Pensavo che avrei vissuto così per sempre, senza sentire niente se non angoscia e disperazione.
Credo che disperazione sia la parola che nei primi mesi ho usato più spesso durante le sedute con la psicologa.

In tutto ciò l’estate di quattro anni fa ho deciso di andare a fare una vacanza studio, un mese e mezzo in Germania. Volevo lasciare tutto indietro, pensavo che una scossa mi avrebbe aiutata. Sapete, tutta quella roba del “rimani in movimento bla bla bla”, ma vaffanculo. Volevo solo dormire tutto il giorno. Volevo stare sdraiata per terra a fissare il soffitto, ed effettivamente era quello che facevo la maggior parte del tempo.
Il viaggio in Germania comunque mi ha fatto peggio: lì ho avuto la prima crisi suicida vera e propria. Non ho provato a togliermi la vita, ma c’è stato un momento in cui l’idea è stata spaventosamente concreta, non più una vaga ipotesi che turbinava qua e là nel mio piccolo, chiaramente bacato cervelletto sottosviluppato.

La cosa più assurda della mia storia credo sia questa: la prima persona che si è accorta di come stavo è stata il professore del corso di tedesco lì a Friburgo.
Mi vedeva ogni giorno per quattro ore al giorno, pochissimo tempo rispetto ai miei amici e parenti, eppure dopo due settimane siamo andati tutti quanti a bere una birra in un posto con una vista spettacolare; ero in coda per prendermi una birra quando il professore mi ha fatto cenno di avvicinarmi.
Abbiamo parlato. Mi ha spiazzata. Con lui non avevo mai parlato di niente, soltanto le frasi esemplificative a lezione, eppure aveva captato qualcosa.
Dal nulla ci siamo isolati a un tavolo e mi ha raccontato con calma e intensità di come sua madre gli avesse salvato la vita trovandolo in piedi su una sedia con un cappio al collo. Aveva legato la corda a una trave della soffitta.
Mi ha detto che certi dolori li riconosci. E’ stato il primo -e forse l’unico, ora che ci penso- a dirmi che mi serviva una mano.
Sono tornata all’appartamento piangendo, e con la consapevolezza spaventosa di avere un problema.

Poi sono tornata in Italia, e qui ho conosciuto la persona che più mi ha fatto bene e male allo stesso tempo in quel periodo; ne avrò parlato un sacco qui sul blog, lo avevo soprannominato Il Pirla perchè lo amavo e lo odiavo contemporaneamente e lui se ne stava in balia delle mie emozioni senza fare nulla.
Non abbiamo mai avuto una storia, ma quello che avevamo era malsano, ora lo vedo. 

Lui era esattamente quello che cercavo inconsciamente: un continuo, costante ribadire che io non ero abbastanza.
Non a parole, quello mai.
Ma con lui sono stati mesi e mesi di “mi piaci tantissimo, ma non possiamo stare insieme” “vorrei davvero, ma è meglio di no”, che nella mia testa era un logorante, estenuante: non sei abbastanza. Abbastanza cosa? Abbastanza tutto. Qualunque aggettivo positivo potesse venirmi in mente, io non lo ero.
Non ero abbastanza: carismatica, intelligente, carina, atletica, interessante, amabile audace, intraprendente, divertente, attraente.

Non ero niente e non mi sentivo niente, e mi sembrava semplicemente ovvio che lui non mi desiderasse, che non volesse nemmeno provare a stare con me. Perché non ne valevo la pena. Tutt’ora ho questo pensiero: non ne valgo la pena. E’ abbastanza difficile convivere con questa convinzione, ma ci sto lavorando.
Insomma, lui era quello che mi serviva per rimanere a galla: era una boa nell’oceano in tempesta che era il mio cervelletto depresso; sapere che l’avrei visto il giorno dopo o nel weekend mi faceva andare avanti; ero impaziente all’idea di incontrarlo. Allo stesso tempo era la persona peggiore che potessi trovare, perché ha reso le mie insicurezze ancora più solide e più difficili da estirpare.

In realtà ci facevamo del male e del bene a vicenda.
Lui con me parlava di quante volte aveva pensato di impiccarsi in salotto, io gli confessavo di quella volta in cui ero stata sveglia tutta la notte pensando di tagliarmi le vene con il cotlello da cucina del mio coinquilino a Friburgo.

Non sapevamo come uscirne, però stare insieme ci faceva bene.
Con lui mi sentivo a posto, poi tornavo a casa e mi demolivo ogni volta di più.

Alla fine ho deciso di andare in terapia.
Credo che la prima telefonata, quella per prendere appuntamento per la prima seduta di psicoterapia, sia stata una delle più difficili della mia esistenza spelacchiata. Voleva dire arrendersi all’idea di avere un problema, cosa che io continuavo a negare a me stessa.

Non mi sentivo meritevole nemmeno di avere una malattia mentale.

Fine prima parte

Regà, che pesantezza eh?
Chiedo venia. Non so, oggi sono in modalità “flusso di coscienza palloso e melodrammatico”.
Non sono sicura di scrivere la seconda parte, forse non interessa a nessuno ed è un’agonia starmi a leggere quando scrivo cose serie, BOH! Se vi va ditemi la vostra.
Ovviamente mi farebbe piacere leggere i vostri commenti spelacchiati, di qualunque natura: sia cose serie sia cose imbecilli per tirarmi fuori da questo viale dei ricordi.
In ogni caso, vi attendo con impazienza.
Buona serata Spelacchiati miei, hasta la pasta!

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Estate killer di cuori

Maaaammia mia ragazzi, sto per morire di caldo. Lo sento, la fine è vicina. Ho pensato spesso a come morire ma cazzo, autocombustione per un’estate del pene non mi sembra un modo granché poetico per andarmene.
Sto bevendo un frappè per cercare di contrastare il calore dall’interno ma penso di stare solamente ingrassando. Ad ogni sorso mi allargo un po’.

Mi sono ripromessa di non parlare di politica perché è già tutto un casino così, poi mi altero, impazzisco e parto a scrivere post chilometrici e non è il caso.

Ma parliamo un attimo di questa estate 2019, che nella mia città sta facendo una strage di cuori.
Non potete capire quante coppie sono scoppiate nell’ultimo mese. Contando solo le persone che conosco abbastanza bene SEI COPPIE SCOPPIATE, più una decina di conoscenti e persone che conosco di vista. Allucinante, mai successo così ravvicinatamente.

Chi stava insieme da quindici anni, chi aveva firmato il contratto per la casa in cui andare a convivere, chi ha un figlio, chi stava insieme da tre anni e sembrava la coppia più unita del mondo… Una valanga di rotture. Corna da tutte le parti, la popolazione della mia città si è trasformata in un parco naturalistico pieno di cervi.

Ma poi si sono mollati tutti con una cattiveria incredibile cazzo, come se l’umanità l’avessero tutti lasciata in vacanza. Per messaggio, per messaggio ad un’amica della persona in questione, con insulti, senza dare nemmeno una spiegazione… Ma oh, ma dico io, qui bisogna tenere un corso su come fare le cose senza essere dei cazzo di stronzi perché non è possibile stare con una persona per anni e poi lasciarla in un modo tanto becero e cattivo.
E’ normale e sacrosanto voler lasciare qualcuno, capita. Però fatelo con un briciolo di tatto e umanità!

L’unico che in questo tripudio di melma si è accasato è il Pirla, rendiamoci conto. (Per chi non lo sapesse, Il Pirla è il mio grande amore platonico.)
Ho anche conosciuto la sua dama, che per comodità chiamerò la Pirla (senza accezione negativa, sia chiaro, è come il leone e la leonessa, il gatto e la gatta, il Pirla e la Pirla. Nomenclatura enciclopedica.).

Mi piacerebbe dire che lei è un’arpia, che ha la pelle a squame come i serpenti, che ha il quoziente intellettivo di un mollusco ed è simpatica come una cimice che comincia a volare nella stanza appena spegni la luce per dormire… Ma non posso, porca di quella miseria. Neanche ste soddisfazioni posso togliermi, perché è carina, spigliata, sembra avere anche un pochino di sale in zucca ed è divertente.
Capite, il mio massimo di simpatia si può riassumere in:
“Che pesci sono quelli?”
“Squali.”
“Squelli!”

…Non c’è competizione.
Diciamo che è proprio come piace a lui: bassa e frivola, lavora nella moda ed ha una quarta di reggiseno. Non come me che sono un metro e settantaquattro di problematicità, come diceva lui, e ho una retromarcia.

Mah. Mi passerà, come un’influenza.

Comunque, ragazzuoli, in questo periodo sto leggendo solo libri molto fighi: dopo “L’arminuta” che mi è piaciuto tantissimo ho finito anche “4,3,2,1” di Paul Auster e ora sto leggendo “Il Cardellino” di Donna Tartt, anche perché a settembre uscirà film film e io sono super curiosa. Tutti quanti super consigliati.

E voi cosa state leggendo? La vostra estate come procede? Quante rotture ci sono state nella vostra cerchia, è qui da me che si è scatenata la voglia di singleitudine o l’estate ha fatto danni anche da voi?

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Conversazioni reali o immaginare tra me e un Pirla decisamente non qualunque.

Siamo nel cortile di un locale, nel retro, all’aria aperta. Stiamo parlando di David Foster Wallace e del suo suicidio.

Stiamo seduti vicini su una panca circolare intorno ad un grosso albero; se non fossimo io e il Pirla i soggetti della scena sarebbe tutto quasi romantico; c’è anche una lucciola che lampeggia vicino alla siepe, solo per noi, ma nessuno dei due commenta.

Non parliamo molto e lui non mi guarda. Non mi guarda quasi mai, in realtà, evita sempre i miei occhi.
Io invece i suoi li guarderei per ore.

“Credo di aver capito che animale sono, comunque” esordisco a un certo punto, rievocando una conversazione che avevamo avuto in compagnia qualche sera prima.

Mi lancia un’occhiata.

“Sono abbastanza sicura di essere una falena. Sai, di quelle grigette e marroncine, bruttine, che continuano a sbattere contro una lampada finché non stecchiscono.”
Non credo sappia di essere lui la lampada, al momento.
Lui sbuffa fuori il fumo dalla bocca “Sicuramente una somiglianza c’è: avete la stessa peluria.” 

Cretino.
Anzi, Pirla.
Gli do una sonora pacca sul braccio e lui ride.
Chissà se lo sente il mio cuore quanto si agita quando lui ride.

“Forse hai ragione, però” considera dopo un po’ “il problema è che tu… non so come o perché, ma tu vedi solo la luce, e ti sembra anche molto più accecante di quello che è in realtà. Non vedi i fili di tungsteno tutti sfilacciati, la ceramica sporca, la lampadina che sta per fulminarsi… “

“Qui l’unica che sta per fulminarsi sono io, mi sa.”
“No, tranquilla, su questo non ci sono dubbi: tu sei già più che fulminata.”

Stiamo un po’ lì.
Fumiamo, non parliamo molto; ci basta stare soli insieme per essere più tranquilli. O almeno, per me è così.
Vorrei appoggiare la testa alla sua spalla e respirare forte il suo profumo, ma credo che questo lo farebbe scappare alla velocità di Speedy Gonzales; si lascerebbe dietro solo una scia di polvere;
Mi devo ripetere sempre la stessa frase come un mantra: non mi vuole.

Allora incasso la testa tra le spalle e penso che anche se non è molto potrebbe bastarmi per sempre.

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Un passo indietro. (Depressione)

Questo post, scusatemi, sarà poco divertente e un po’ crudo. Leggete a vostra discrezione.

Questa settimana ho fallito.
Ho sbagliato, ho fatto un passo indietro.
Qualche giorno fa ho avuto una crisi depressiva, una di quelle forti.

Non mi capitava così forte da un po’, pensavo stupidamente di aver superato quella fase anche se razionalmente so che non è una fase, che mi succederà per sempre di avere questo tipo di crisi e che devo imparare a gestirle molto meglio di come ho fatto martedì.

Dicevo, ho avuto una crisi depressiva.

Il giorno prima ero stata ad una festa, avevo indossato un vestitino nero e una parrucca fucsia. Un ragazzo ci ha provato con me, abbiamo giocato tutta la sera a giochi di gruppo, è stato carino.
E’ stato carino finché non è precipitato tutto in un vortice di disgusto per me stessa e fastidio nei confronti degli altri; mi sono chiusa, isolata in mezzo a loro, ho smesso di parlare, di ridere, di voler essere lì. 

Sono tornata a casa con un senso di nausea allo stomaco.

Il giorno dopo ero insolitamente allegra. Mi sforzavo così tanto di essere allegra da risultare esagerata, finta. Ogni volta che ridevo mi veniva da piangere.

Alla fine, la sera, sono esplosa.

Insomma, ho avuto una crisi depressiva.

Non sentivo niente se non nausea e confusione, era diventato improvvisamente tutto nero e ostile. In alcuni momenti non sentivo nulla, in altri era come avere una guerra nel cervello.

C’erano i miei a casa ma stavano dormendo; erano circa le due di notte quando sono scesa in cucina e sono ricaduta in un’abitudine che pensavo di aver lasciato alle spalle.

L’autolesionismo.

Il pensare che il male fisico sia più sopportabile di quello schifo che provo dentro, il desiderare di sentire del male piuttosto che non sentire niente, e tutte quelle altre cose da manuale che trovate su internet.

Ho preso uno dei coltelli da cucina, mi sono arrotolata la manica del pigiama e ho premuto la lama sulla pelle, abbastanza in alto da rendere più difficile ora vedere i tagli grazie alle maniche lunghe.

Una, due, tre volte.

Non esageratamente profondi, abbastanza da sanguinare per un po’.

A ripensarci adesso mi sembra una cosa così idiota da fare che mi chiedo cosa stessi pensando in quel momento, se stessi almeno pensando.

So che non vorrò dirlo alla mia psicologa. Non vedrà i tagli, non lo saprà se non sarò io a dirglielo.

Avrò il coraggio di parlargliene? Non lo so. Non lo so davvero. Dovrò sforzarmi molto, ma non so se ne sarò in grado.

Nel weekend dovrei andare ad un altro concerto.

Mi ha invitata un ragazzo conosciuto due settimane fa.

Dice che gli farebbe piacere.

E io non voglio andare.

Non voglio, non voglio, non voglio.

Ho paura che succeda di nuovo, che io mi spenga, che una volta tornata a casa voglia soltanto mettermi sotto la doccia e piangere per ore, sentendomi in colpa per essermi rovinata da sola un’altra serata. Ho paura che lui abbia delle aspettative nei miei confronti, ho paura di essere a disagio, ho paura di finire di nuovo come l’altra sera, in cucina alle due di notte con un coltello in mano.

Spero che questo post non vi faccia troppa impressione, avevo bisogno di ammettere a me stessa e a qualcun altro che a volte fallisco, nonostante l’impegno.

E’ un passo indietro in un cammino veramente lungo e difficile, per quanto io ci scherzi su.

Capita di sbagliare. Come capita a me capiterà a -quasi?- chiunque si trovi in una situazione difficile, ma spero che post come questi possano un giorno aiutarvi a sapere che per forza di cose a volte dobbiamo sbagliare e fallire per riprovare con più determinazione.

Per oggi è tutto, tornerò presto con post più allegri, lo giuro.

Buonanotte, Spelacchiati.

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Pensieri depressi dell’una di notte

Mangio la pizza e sono il solo sveglioooo in tutta la cittàààà”

Mah.
A quanto pare sono l’unica che non coglie il fascino intrinseco di Calcutta, però questa frase mi rappresenta assai al momento.
Dopo una serata difficile ho deciso -non molto saggiamente- di tornare a casa a piedi e nel tragitto mi sono presa un trancio di pizza.
Ora sono sana e salva al pc in casa mia, quindi dite pure a Mr Salvini che nessun clandestino mi ha molestata.
Un italiano però si è sporto così tanto dal finestrino per dirmi “che bella gnocca” che pensavo battesse una facciata sull’asfalto, vale comunque anche se era piuttosto bianchiccio? O se era di una tonalità accettabile nella scala caucasica rende tutto meno interessante?

Non ho un vero tema stasera, sono solo in quella fase “pazza depressa” di momentaneo distaccamento dalla realtà che ogni tanto mi prende.
Ho cercato di spiegare ai miei amici cosa cazzo mi stesse prendendo e perché non potessi proprio più stare con loro ma è stato estremameeeeente difficile e credo di averli lasciati al bar con più domande che risposte… Qui sul blog però vorrei essere molto sincera, molto più di quanto riesca ad esserlo con le persone in carne ed ossa perché a volte è troppo difficile dire ad alta voce quello che penso, ma magari qualcuno leggendomi potrà dire “okay, anche io sto così, cerchiamo di stare male insieme e poi rimetterci in carreggiata”.

Durante il tragitto fino a casa continuavo a pensare “se ora attraversassi la strada senza guardare, mi buttassi in mezzo alla carreggiata, e una macchina mi prendesse in pieno staremmo tutti meglio. Io in primis, ma anche tutti quelli che mi stanno loro malgrado intorno”.
E’ orribile? Sì. Sono una persona terribile perché persone a cui è successo non lo pensavano minimamente? Probabilmente sì. 
Ciò nonostante questo era il pensiero fisso finchè non sono arrivata al parchetto vicino a casa mia, mi sono lanciata su una panchina -pioggia scrosciante come nei veri film drammatici compresa- mi sono fatta il mio piantino disperato da persona completamente fuori di testa e mi sono data una calmata buttando fuori tutto quello che avevo accumulato.
“Ma che ti è successo, Sara?”
Me l’ha chiesto anche un signore poco fa in mezzo alla strada. Effettivamente vedere una ragazza all’una di notte che vaga per la città piangendo come una cretina non deve fare un bell’effetto.
Cos’è successo?
Niente, ahimè. 
Situazioni normalissime che però su di me hanno un effetto completamente destabilizzante. A volte penso che se avessi davvero dei motivi per stare da cani sarebbe meglio, poi mi rendo conto di essere una persona orribile.
Diciamo che pensavo che stando con determinate persone il mio umore sarebbe stato super high e quando mi sono resa conto che non c’entrava un emerito pene la compagnia mi sono impanicata-affossata-non so che altro.

Ho anche realizzato che effettivamente per riempire tutto quello schifoso vuoto interiore mi sono gettata ancora una volta nel cibo, cosa che effettivamente fino ad adesso avevo fatto quasi inconsciamente.
Non mi ero mai resa conto davvero di quanto avessi bisogno di sentirmi coccolata da qualcosa per colmare un’altra mancanza. Ecco come ho preso cinque chili nell’ultimo anno, mannaggia alla peppa e alla peppina. 
Però giuro, se non avessi avuto quel trancio di pizza nei due chilometri di strada che ho fatto penso sarei uscita completamente di senno, quindi CHISSENE FREGA, ne avevo bisogno, ho mangiato, amen.
Non andrò in palestra domani, al momento il punto focale è sopravvivere. Quindi al diavolo i chili in più, il senso di colpa per aver magnato ‘na pizza all’una di notte, mi ha fatta stare momentaneamente meglio quindi ne è valsa la pena. Quando sarò mentalmente meno instabile probabilmente potrò prefiggermi obiettivi tipo “non mangiare dieci miliardi di carboidrati la sera”, stasera mi limito ad arrivare a letto.

Ho circa diecimila pensieri al momento che si agitano nel mio microscopico cervello. Come fanno a starci tutti? BOH.
Non riesco a memorizzare una formula di matematica ma a quanto pare ogni parola pronunciata da determinate persone negli ultimi due anni sono immagazzinate lì dentro, impossibili da rimuovere.
Ma vaffanculo, cervello cretino. 
Poi mi chiedo perché non passo gli esami…

Eeee niente. Questo post un po’ inutile era per descrivere una serata del cazzo, iniziata bene e finita nel mio solito melodramma psicologico, perché suppongo che a un certo punto smetterò di stare così, le medicine faranno effetto, il mio modo di prendere e gestire la vita cambierà, le persone intorno a me capiranno, il vuoto diventerà meno enorme eccetera. 

Keepiamo tutti calm e andiamo avanti, che se no è la fine. 

Hasta luego, spelacchiatini.

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Parole a cose mai state mie

Sarebbe stato bello, ne sono sicura. Lo so e basta.

Saremmo andati in giro insieme, vicini, senza tenerci per mano perché a noi non piacciono queste cose.

Avremmo guardato film brutti sul tuo divano, io attenta a non spargere popcorn, tu attento a me.

Perché non ci interessano davvero i film

Sarei stata brava per te, con te.

Ti avrei regalato un libro senza motivo, come faccio alle poche persone a cui tengo veramente, e tu mi avresti guardata in quel modo in cui solo tu riesci a guardare le persone. Come se non meritassi nulla di bello dalla vita, quando il bello della vita sei tu.

Ti avrei voluto bene, bene davvero. Avrei messo la tua felicità prima della mia, saremmo stati soli insieme, e ordinari uniti. La straordinarietà non fa per noi.

Avremmo litigato, per le tue troppe sigarette, perché io sono troppo piccola.

Mi sarei svegliata con te a fianco chiedendomi cosa, di preciso, avessi fatto per meritare una persona tanto strana quanto speciale nella mia vita.

Ti avrei fatto i biscotti, solo per vederti sorridere in quel modo.

Mi manca il tuo sorriso

Avrei amato tutto questo, ma tu non hai voluto neanche provarci.

Ti avrei ascoltato suonare per tutta la vita.

Te ne sei andato.

E allora continua a fare le tue scelte di merda e soprattutto vattelo a pia’ n’derculo.

‘Cià.

Mi mancherai ancora per un po’

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La Sara depressa: accettazione

Okay, questo post è un po’ una prova per me.  
Questa è una di quelle sere, quindi devo trovare qualcosa da fare per distrarmi e visto che l’altro post è stato apprezzato e leggere i vostri commenti mi ha fatto sentire tanto bene ho deciso di riprovare a parlarne.
Che poi anche in questo momento mi rendo conto che c’è gente che è messa peggio di me, pensate quella povera donna che sta con Salvini… Se ce la fa lei a tirare avanti lo posso fare anche io.
Risultati immagini per salvini gif
Per sdrammatizzare questo post ho deciso di inserire gif a mio parere divertenti qua e là senza alcuna logica.
Risultati immagini per gif berlusconi
Una delle cose che mi è stata più detta dalla mia famiglia e dai miei amici è stata: “Ma non sembri avere un problema.”

Ecco. Lo so che non sembra.
Lo so che è orribile pensare di non conoscere nemmeno tua figlia. Lo so, e mi dispiace tanto. 

Quando sono con altre persone è come se si attivasse un meccanismo di difesa che mi rende ancora più scema. Non parlo mai di me, i miei problemi non esistono. Ascolto tanto, un po’ perché mi piace e un po’ perché egoisticamente parlando ascoltare altri mi distrae dal buco nero che a volte sembra aprirsi dentro di me risucchiando tutte le cose belle e anche quelle decenti.
Insomma, è più facile ascoltare.
Ma allo stesso tempo rendermi conto che nessuno si sia mai accorto di come stessi realmente mi ha fatta sentire sola al mondo.

Risultati immagini per salvini gifHo cominciato a pensare di avere un problema molto tardi, ci ho messo veramente un sacco ad accettare anche solo l’idea di avere qualcosa che non va a livello mentale. Aspettare non ha aiutato, quindi io ve lo dico spassionatamente: se non vi sentite bene agite subito. Se poi è davvero solo un periodo del cazzo meglio ancora, ma non aspettate. 
Si dice “non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire” e in effetti io non volevo sentire nè vedere, piuttosto mi sarei ascoltata Justin Bieber a manetta ininterrottamente per una settimana. Però succedevano cose e in reazione io sentivo cose, pensavo cose e di fare cose, e non andava bene. 
Piangevo ovunque, praticamente ogni volta fossi sola. Sul treno di ritorno dall’università, in centro mentre tornavo a casa, in libreria, nell’ascensore per andare dal marmocchio a cui dò ripetizioni… Ovunque. Spessissimo.
C’erano settimane in cui succedeva ogni giorno, altre in cui stavo benissimo e mi dicevo “Okay Sara non fare la deficiente, era un momento no. Succede, è passato.” 
Ma no, non passava proprio per niente, dopo un mese ero di nuovo in bagno col mascara sbavato e il naso rossissimo mentre gli altri mangiavano totalmente ignari del mio disagio.

Risultati immagini per adinolfi gifInsomma, non andava bene. E io così ho passato non mesi ma anni; su e giù, solo che ogni momento giù era sempre peggio di quello precedente.
Poi nell’ultimo anno sono successe veramente un sacco di cose che mi hanno destabilizzata; c’è stata un’escalation di persone e situazioni che mi hanno fatta esplodere come un candelotto di dinamite in un episodio di Willy Coyote e mia sorella ha scoperto che effettivamente la sua sorellina scemetta ha un lato nascosto non poi così piacevole. 
Parlarne ad alta voce con qualcuno ha finalmente smosso qualcosa, è come se l’avesse reso più reale, quindi il giorno dopo averne parlato con lei ho chiamato e preso appuntamento da un esperto.
Risultati immagini per gif brunettaVorrei dire che da quel momento le cose sono cambiate radicalmente e che ora sono una persona felice che sgambetta nei prati come Heidi, che sto bene, che non penso più di voler semplicemente non esistere in una vita che non ho scelto io di vivere… Vorrei dire tutto questo, ma non sarebbe vero per niente. 
Sicuramente parlare con un’esperta mi sta aiutando a mettere a fuoco certe cose della mia vita e sapere di star facendo qualcosa per cercare di mettere a posto quello che c’è da aggiustare mi da un minimo di speranza.
Immagine correlata
Però poi ci sono serate come questa e niente può farle cambiare.Devo aspettare che passino da sole, come un temporale di disperazione senza senso che deve fare il suo corso.

Ordunque per stasera basta ammorbarvi con queste cose, spero che il vostro sabato sera stia andando molto meglio del mio.