Mea culpa, a sto giro ho cannato. Ho sbagliato in pieno.
Non avendo voglia di stare lì a leggermi diecimila recensioni mi sono fidata del passaparola e ho comprato “Una famiglia quasi perfetta“, primo romanzo di Shemilt Jane.
Trama:
Jenny è un medico, sposata con un famoso neurochirurgo e madre di tre adolescenti. Ma quando la figlia quindicenne, Naomi, non fa ritorno a casa dopo scuola, la vita perfetta che Jenny credeva di essersi costruita va in pezzi. Le autorità lanciano l’allarme e parte una campagna nazionale per cercare la ragazza, ma senza successo. I mesi passano e le ipotesi peggiori diventano sempre più plausibili, ma in mancanza di indizi significativi l’attenzione sul caso si affievolisce. Jenny però non si arrende. A un anno dalla sparizione della figlia, sta ancora cercando la verità. Presto capisce che le persone di cui si fidava nascondono terribili segreti, Naomi per prima. Seguendo le flebili tracce che la ragazza ha lasciato dietro di sé, Jenny si accorgerà che sua figlia è molto diversa dalla ragazza che pensava di aver cresciuto…
*prende un respiro profondo*
Questo libro non mi è piaciuto. Non mi è piaciuto per niente.
Io ve lo dico, a un certo punto spoilererò senza pietà, alla Christian Grey, perché devo farvi capire la demenza che si raggiunge, ma non dirò nulla del finale. Quello dovete gustarvelo.
Jenny è una donna, una mamma, un medico. Carriera e famiglia possono coesistere?
Forse.
In linea di massima sì a meno che non si è dei totali cretini come la protagonista di questo romanzo. Jenny infatti è astuta come una volpe e attenta come un falco, tanto che non ha la minimissima idea di cosa accada sotto al suo tetto ma vive nell’idea che sia tutto perfetto come piacerebbe a lei.
Non si accorge che il marito neurochirurgo non è mai dove dice di essere, che gli sbalzi d’umore del figlio non sono solo frutto “dell’adolescenza”, che dietro l’atteggiamento della figlia si nasconde un possibile addio.
Quello che mi ha reso insopportabilmente fastidioso il romanzo è la chiarezza con la quale viene mostrato che qualcosa non va, rendendo la nostra dottoressa una vera tonta.
Lei liquida comportamenti palesemente strani con frasi tipo “dev’essere la stanchezza per le prove, sicuramente” o “di questo dobbiamo parlare… ma aspetterò che lo faccia lei per prima, per non starle addosso“. Ma scherziamo? Hai dei figli adolescenti e tu “aspetti che siano loro” a parlarne?
Naomi torna a casa puzzando di fumo e di alcol, mente a riguardo e lei “dobbiamo assolutamente parlarne”. E poi si distrae, segue una farfalla, guarda fuori e si lancia in pipponi amletici.
Il problema è che questo personaggio non è nè una mamma apprensiva e “mammesca” nè una che se ne strafrega perché è impegnata con il lavoro: è nella posizione più strana e più scomoda in cui un personaggio così può stare, cioè nel mezzo: un’idiota che fa finta di essere mamma e che fa pure male il suo lavoro.
Tra le varie recensioni che ho letto (dopo) molti dicono che questo romanzo è una vera istantanea della vita “moderna” in cui le donne si perdono il senso della vita cioè crescere i figli.
Cercherò di non essere volgare e non mandare tutti a fare in cielo.
No.
Il senso della vita non è sposarsi, non è fare figli, non è universale per tutti. Piazziamocelo in testa: persone diverse = ambizioni diverse.
Questa donna, poraccia, ha tutto il diritto di farsi una carriera. Quello che non ha il diritto di fare in quanto nel momento in cui metti al mondo una creatura diventa tuo obbligo assumerti responsabilità nei suoi confronti è scrollare le spalle davanti ad ogni cosa.
Poi volete dirmi che in un anno gli insegnanti non vedono mai i genitori di questi ragazzi? Che non vengono informati delle attività extrascolastiche? Che nessun docente si prende la briga di avvertire i docenti se uno chiede come si fa a mollare la scuola?
Ma per favore.
Altro personaggio altra demenza è il marito, Ted. Ted, un personaggio messo a caso. Lui è lì, c’è, parla pure eh, ma è inutile. Un inetto. Lui però almeno ha la scusa che viaggia: un giorno è a Hong Kong, un altro in Australia, se ne va per i suoi convegni e bye bye family.
Per non parlare dell’investigatore-tutto-fare Michael, uno che dovrebbe avere un po’ di sale in zucca e che segue le regole ligio al dovere ma che poi manda tutto a prostitute raccontando ogni dettaglio a Jenny “così se per caso quelli della televisione riuscissero a scoprire qualcosa di super top secret delle indagini non rimani traumatizzata”.
Certo, funziona proprio così. Ah-ah. Dì tutto ad una madre che sta impazzendo per la scomparsa della figlia, complimentoni, poi prendi un sasso e colpisciti da solo finché non svieni magari.
E poi parliamo di ‘sta ragazza. ‘Sta tipella. Una capra.
Quindici anni, un atteggiamento da schiaffi a mano aperta. Quasi ero felice che fosse scomparsa.
Se io alla sua età mi fossi comportata come lei i miei mi avrebbero appesa per i pollici.
Per non parlare di quell’altro, Ed, il più poraccio di tutti che ancora un po’ che si droga ci muore e nessuno se ne accorge.
Per farvi un esempio a caso, ad un certo punto c’è Jenny che si accorge che sul comodino di Ed c’è una mazzetta di soldi, tipo tre-quattrocento sterline e il suo primo pensiero da superpirla quale è è stato “oh che tenero, si sente in colpa per la sorella e vuole ripagarci”.
COSA STAI DICENDO, DONNA? Ma che bip di ragionamento è? Ma questa donna ci è o ci fa?
E poi va dal marito dicendo “senti smettila di spillare soldi ai ragazzi come una banca, eh” e quando lui le dice che non gli ha dato un soldo bucato lei pensa “ah, avrà risparmiato”.
Hai capito tutto, Jenny, bravissima.
Se poi vi aspettate, come me, che almeno il finale sollevi un po’ la cosa… Non è affatto così. E’ uno dei finali più orrendi che abbia mai letto. Non vi spoilero il finale così ve lo godrete se mai decidere di lanciarvi in questo romanzo fintamente thriller, vi lascio tutta la gioia della scoperta.
Vi prego consigliatemi un bel thriller per riprendermi da questo.
Ai prossimi pensieri spelacchiati!