Buonasera miei cari Spelacchiatini, come state?
Io devo essere onesta e mettere un avvertimento per questo post: sarà molto diverso dai soliti. Non fa ridere, si tratta di violenza sugli animali e di ospedale, e racconto un aneddoto che mi ha turbata molto. Se avete voglia di leggere uno sfogo personale mi farebbe piacere leggere le vostre idee!
Allooooora… Non so bene come raccontare questa storia, lo ammetto, perché per qualcuno potrebbe risultare esagerata ma cercate di avere pazienza.
Parto con una premessa: io amo gli animali.
Tutti, indistintamente.
Casa mia è in periferia, fino a pochi anni fa c’era un bellissimo boschetto proprio di fronte a casa e amavo andarci con il mio cane.
Insomma, ho sempre avuto a che fare con animali; una gatta randagia a cui abbiamo dato da mangiare la sera per anni ci ha partorito per ben due volte in garage riempendoci il giardino di gattini meravigliosi a cui abbiamo trovato casa -alcuni la madre se li era portati via con enorme pazienza, altri li aveva lasciati da noi; un’altra volta un riccio aveva partorito in un sacchetto di terriccio! Dei mostriciattoli straordinari, una nidiata di piccolissimi ricci a cui -sotto consiglio di veterinari- abbiamo dato latte con contagocce per settimane e poi una sera sono andati via con la madre.
Abbiamo aiutato una caterva di animaletti vari: topini feriti, leprotti (loro sono completamente pazzi, una volta messi in sesto cominciano a saltar fuori appena possono, dei cretini totali), pennuti di ogni tipo -il mio preferito era Piccio, un piccione strampalato che non si sa cosa diamine avesse ma era fuori come un balcone, tutto spennacchiato, che dopo settimane di cure è svolazzato via-.
Abbiamo tenuto un riccio infestato di parassiti, curato una cinciallegra con un’ala rotta, abbiamo allattato una mini lepre trovata sull’asfalto.
Una volta mi sono bardata fino al collo perché c’era un serpente in giardino e io che non so veramente un cazzo di serpenti mi ero messa due strati di guanti, stivaloni al ginocchio ed ero pronta a cercare di prenderlo a mani guantate. Alla fine è stato più facile del previsto, è bastata una scopa e uno scatolone per prenderlo e portarlo nel bosco.
Insomma, che vi devo dire, amo gli animaletti.
Però odio gli insetti, mi fanno proprio ribrezzo, ma con loro uso l’ormai affinata tecnica del “TI PIAZZO UN BICCHIERE SOPRA E PASSO UN FOGLIO DI CARTA SOTTO E POI TI PORTO IL PIU’ LONTANO POSSIBILE DA CASA MIA E NON TORNARE MAI PIU’ TI PREGO ADDIO”.
Nonostante ciò ho fatto svernare una locusta più di là che di qua, e proprio qualche giorno fa ha deciso di andarsene.
Questa era una premessa necessaria, perché qualche giorno fa è successo un episodio molto spiacevole con degli amici del mio Batterino.
Prima che vi facciate idee sbagliate: mi rendo conto che la mia reazione è stata -forse- esagerata, e non voglio che giudichiate troppo male gli amici del Batterino; in generale sono persone normali, mi ci trovo anche molto bene.
L’altro giorno eravamo a pranzo ed è venuto fuori un discorso molto brutto: violenza sugli animali. Hanno raccontato un aneddoto terrificante, un atto compiuto da un loro conoscente. Non entrerò nei dettagli, ma questa persona ha fatto delle cose terrificanti ad un topo, cose di una crudeltà e sadicità che mi hanno lasciata senza fiato.
Il problema è sorto perché ne parlavano ridendo -come poi mi ha spiegato la psicologa può essere che usassero la leggerezza per porre distanza dal fatto, come a volte si fa con le notizie del telegiornale- e nonostante io abbia chiesto più volte di cambiare argomento non solo non mi hanno ascoltata ma hanno addirittura telefonato a questo individuo per farsi raccontare in vivavoce le azioni compiute.
Io ero gelata, ragazzi. Non sapevo cosa fare. Non volevo sentire, non volevo avere altri dettagli, non volevo ascoltare altro. Mi sono tappata le orecchie per non sentire e sarò sembrata una rincoglionita probabilmente, ma non è servito; hanno continuato a parlarne, a descrivere ogni cosa.
Alla fine mi sono alzata all’improvviso e sono uscita dal locale. Sono andata fuori, da sola, e ho cominciato a piangere e tremare; stavo malissimo.
Per qualcuno può sembrare una reazione esagerata, in quel momento stavo così male che mi veniva da vomitare.
Non so se fosse esagerata o meno, so solo che sono stata male tutto il giorno; alla fine, tornata a casa, ho capito che il racconto mi aveva smosso anche altre cose.
Era come se si fosse aperto un varco spazio-temporale: all’improvviso non ero più lì ma ero in ospedale.
Ero in ospedale e sentivo le persone urlare di dolore, piangere, gemere, avere paura.
L’idea che qualcuno possa fare del male volontariamente ad un essere vivente per puro divertimento aveva riaperto delle ferite che non sapevo neanche di avere.
Ho continuato a stare male per tutto il giorno successivo, con immagini dell’ospedale che mi piombavano addosso all’improvviso, senza motivo; ho sentito persone con cui avevo legato in ospedale perché avevo bisogno di sapere che stavano bene, che erano ancora in piedi.
Non penso di averne mai parlato qui sul blog, non ho raccontato molto nemmeno ai miei amici “della vita vera”, ma in ospedale tra i vari ricoveri ho visto e sentito cose che non so descrivere… Cose che evidentemente mi hanno segnata molto più di quanto pensassi.
Da qui sono poi nate due riflessioni, due consapevolezze.
Una è che devo ancora guarire. Forse la cicatrice sulla mia cucuzza si è rimarginata, ma ci sono altre cose che devono guarire e tornare a posto; e ci sono cose che non torneranno più a posto, incrinate per sempre, con cui devo imparare a convivere. E va bene così: ho affrontato delle cose importanti, è normale che mi abbiano lasciato dei segni. Devo però imparare ad affrontarle, a capirle, ad accettarle, per poter trovare pace e superarle.
La seconda riflessione è che evidentemente non so farmi valere, e devo cambiare.
Non voglio più essere la persona che esce a piangere da sola.
Voglio essere la ragazza che piuttosto fa tacaere un’intera tavolata.
Non dico di dover saltare sul tavolo all’urlo di “siete tutti degli stronziiiiii” però ho capito che i miei sentimenti valgono di più, le mie emozioni hanno un valore, quello che provo merita più rispetto di così. In primis da parte mia, perché se non sono io a battermi chi dovrebbe farlo?
Io devo imparare a farmi ascoltare, ad alzare la voce se serve, ad esigere rispetto.
Tutti pensano a me come Sara quella simpatica, Sara quella divertente, Sara quella accomodante, che si fa andare bene tutto, che non crea mai problemi… Ma se ci fosse altro? Se invece io ogni tanto mettessi qualcuno a disagio, invece di chiudermi come un armadillo in me stessa e aspettare che le cose passino?
Insomma, ho deciso che d’ora in poi mi rispetterò di più, perché valgo qualcosa anche io. E se per stare bene io devo far sentire a disagio qualcuno per cinque minuti allora lo farò, perché non voglio più sentirmi in quel modo.
Non voglio più tornare mentalmente in ospedale a piangere da sola per il dolore post-operatorio, o per la paura di quello che sta succedendo.
Questo post è moooolto diverso dal solito, miei cari Spelacchiati, me ne rendo conto; avevo bisogno di esternare queste cose, nella speranza di poter attivare qualcosa anche in voi. Il vostro tempo è prezioso, la vostra sanità mentale va tutelata, i vostri sentimenti vanno rispettati.
Spero di non avervi delusi o annoiati con questo sfogo notturno, presto tornerò con altre cazzatine (se dico “Fabbricante di Lacrime” sapete cosa aspettarvi?) e argomenti molto meno pesanti di questo!
Ancora una volta grazie a chi avrà voglia di commentare facendomi sapere la propria opinione su tutti questi temi così importanti, mi piacerebbe sentire le vostre idee su queste cose.
Hasta la Pastaaaaa!



