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Stralci da una seduta.

“Allora Sara, come andiamo?”
“Onestamente? Non lo so. Non benissimo. Neanche malissimo, credo.”
La dottoressa mi guarda. Secondo me era una risposta piuttosto positiva, ma la psicologa non sono io.
“Ti senti ancora annoiata, apatica?”
Annuisco, guardo in giro. Faccio ancora fatica a guardarla negli occhi in certi casi.
“Mi sembra davvero di oscillare tra la noia e il dolore, con pochissime pause piacevoli in mezzo.”


*


“Parlami degli incubi.”
Mi agito sulla sedia, guardo fuori dalla finestra: vorrei essere da un’altra parte e allo stesso tempo da nessun’altra parte.
“Non saprei… variano. Però ci sono delle costanti. Spesso devo scappare. Non so da cosa, non so perché, so solo che qualcosa minaccia di uccidermi e io devo scappare. E ci sono delle scale, quasi sempre. Devo scendere o salire infinite rampe di scale.”
“E tu che visuale hai, nel sogno? Ti vedi?”
“No, è come se fosse in prima persona.”
“Quindi non sai quanti anni hai, nel sogno?”
“No. Non saprei proprio.”


*

“Ormai ti conosco da un anno, Sara, e credo che il problema sia che tu stai bene solo quando stai male. Sembra una frase fatta ma gli stimoli che ti servono per sentirti coinvolta dalle situazioni devono essere così particolari e così forti che solo circostanze negative ti sanno fornire. Dobbiamo capire perché, se è un tratto della tua personalità o se è successo qualcosa nella tua vita che ha dato inizio a questa apatia.”
“Non è così per tutte le persone che soffrono di depressione?”
Lei scuote la testa “Come ogni cosa per ognuno è diverso. Alcune persone vanno a periodi, ma tu sei così da quando abbiamo cominciato a vederci un anno e mezzo fa. La vita ti scorre addosso e cerchi le situazioni che ti fanno stare male.”
E’ strano sentirsi dire quello che effettivamente hai sempre saputo.
“Prendiamo l’ultimo esempio, questo uomo -qui sul blog lo chiamerò Chuck-; è fidanzato. Vi piacete a vicenda, tu ti continui a tirare indietro quando lui vuole diventare fisico con te, e così sei dilaniata tra il tuo desiderio e la tua moralità.”
“E se fosse single non mi piacerebbe, probabilmente…” aggiungo, sospirando.
“Esatto. Perché cerchi gli amori impossibili, le situazioni complicate, per uscire da quel limbo di apatia e noia che ti intrappola. Dobbiamo lavorarci.”
*
Niente, Spelacchiati, stasera va così, post serietto e sincero perché la seduta di stamattina mi ha completamente svuotata, turbata, spossata. La psico vuole ricominciare a vedermi ogni settimana perché marco male ultimamente.
E’ da stamattina che vorrei soltanto raggomitolarmi sotto una coperta e dormire, ma anche stasera credo che dormire sarà un’impresa.
Domani andrà meglio per tutti, daje.

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Conversazioni reali o immaginare tra me e un Pirla decisamente non qualunque.

Siamo nel cortile di un locale, nel retro, all’aria aperta. Stiamo parlando di David Foster Wallace e del suo suicidio.

Stiamo seduti vicini su una panca circolare intorno ad un grosso albero; se non fossimo io e il Pirla i soggetti della scena sarebbe tutto quasi romantico; c’è anche una lucciola che lampeggia vicino alla siepe, solo per noi, ma nessuno dei due commenta.

Non parliamo molto e lui non mi guarda. Non mi guarda quasi mai, in realtà, evita sempre i miei occhi.
Io invece i suoi li guarderei per ore.

“Credo di aver capito che animale sono, comunque” esordisco a un certo punto, rievocando una conversazione che avevamo avuto in compagnia qualche sera prima.

Mi lancia un’occhiata.

“Sono abbastanza sicura di essere una falena. Sai, di quelle grigette e marroncine, bruttine, che continuano a sbattere contro una lampada finché non stecchiscono.”
Non credo sappia di essere lui la lampada, al momento.
Lui sbuffa fuori il fumo dalla bocca “Sicuramente una somiglianza c’è: avete la stessa peluria.” 

Cretino.
Anzi, Pirla.
Gli do una sonora pacca sul braccio e lui ride.
Chissà se lo sente il mio cuore quanto si agita quando lui ride.

“Forse hai ragione, però” considera dopo un po’ “il problema è che tu… non so come o perché, ma tu vedi solo la luce, e ti sembra anche molto più accecante di quello che è in realtà. Non vedi i fili di tungsteno tutti sfilacciati, la ceramica sporca, la lampadina che sta per fulminarsi… “

“Qui l’unica che sta per fulminarsi sono io, mi sa.”
“No, tranquilla, su questo non ci sono dubbi: tu sei già più che fulminata.”

Stiamo un po’ lì.
Fumiamo, non parliamo molto; ci basta stare soli insieme per essere più tranquilli. O almeno, per me è così.
Vorrei appoggiare la testa alla sua spalla e respirare forte il suo profumo, ma credo che questo lo farebbe scappare alla velocità di Speedy Gonzales; si lascerebbe dietro solo una scia di polvere;
Mi devo ripetere sempre la stessa frase come un mantra: non mi vuole.

Allora incasso la testa tra le spalle e penso che anche se non è molto potrebbe bastarmi per sempre.