Mentre scrivo sono in treno con un signore uguale spiaccicato a Ghedini. L’avvocato, non quello di Masterchef. Che faccio, gli dico di salutarmi il Berlu? Gli consiglio un parrucchino?
Lasciamoci alle spalle film horror molto brutti e torniamo un attimo indietro nel tempo di circa dieci anni, quando io ero una giovane adolescente orribile e nerdeggiante e al mattino, prima di andare a scuola, mi piazzavo in cucina con una mega tazza di latte e nesquick, accendevo la tele e…
Anna dai capelli rossi va
vola e va come una rondine
però un nido non ce l’ha
non ha una mamma né un papà!
Eh. Che vi devo dire, questo passava il convento alle sette di mattina.
Parliamoci chiaro chiaro papale papale... Gli anime giapponesi di solito sono belli. Ma belli belli. Anna dai capelli rossi però era brutto, una vera e propria lagna: un cartone lento, con principi bigotti (volontariamente perche poi cambiano durante le puntate eh ma… chi ci arriva a quelle puntate, uno si taglia le vene molto prima), personaggi insopportabili e melodrammatici oltre l’inverosimile e senza alcuna ragione.
Sinceramente mi dava sui nervi.
Ora su internet abbondano i meme di Hannah Baker di 13 che incide cassette per chiunque, ma la regina degli psicodrammi è lei: Anne Shirley del cartone, colei che per un nonnulla andava a sfracellarsi sul letto piangendo tutte le sue lacrime, oppure Diana Berry, una ragazzina con l’encefalo di un gamberetto, e infatti erano migliori amiche.
Sto rievocando questi ricordi per farvi capire con che stato mentale ho iniziato la nuovissima serie tv di Netflix proprio su questa sbarbatella coi capelli rossi, ovvero “Chiamatemi Anna“.
Rullo di tamburi… Mi è piaciuta, e anche parecchio. Ho binge-watchato le sette puntate, guardandole in due giorni mangiando una dose spropositata di yogurt al cocco. Shh.
La trama è quella che tutti noi già conosciamo:
Dopo aver trascorso la propria infanzia in diversi orfanotrofi, la giovane Anna viene mandata per errore a vivere con gli anziani fratelli Marilla e Matthew Cuthbert. Dopo un’iniziale diffidenza nei confronti di Anna, i due fratelli cominceranno a conoscerla meglio, e la bambina cambierà per sempre le loro vite.
La ragazzina che interpreta Anne Shirley è Amybeth McNulty che oltre ad essere perfetta per il ruolo è anche bravissima; ha due occhioni blu super espressivi e sembra nata per il personaggio super melodrammatico ed enfatico di Anne. I suoi lunghissimi monologhi sparati a velocità stellare sono divertenti, drammatici, esilaranti o strazianti a seconda dei casi, l’enfasi che ci mette è straordinaria: sembra che le parole le sgorghino direttamente fuori dal cuore.
I fratelli Cuthberth, coprotagonisti, mi hanno invece lasciata un po’ freddina.
Carino e apprezzabile Lucas Jade Zumann, che interpreta il giovane quasi inter
esse amoroso di Anna: Gilbert Blythe. L’unico che riesce a tenerle testa a scuola in fatto di spelling e di risposte esatte è carino, gentile ed evidentemente stracotto dalla prima volta che vede Anne, in più anche lui si trova in una situazione difficile.
Posso dire che è anche il mio interesse amoroso? No perchè lo so che è piccolino eh, ma l’attore ha superato i diciottanni quindi è tutto lecito e legale, quindi qualcuno mi porti Lucas e nessuno si farà male.
La cosa che mi è piaciuta di più in assoluto di questa serie è il fatto che mostra il passato di violenze, abusi e soprusi di Anne dando finalmente una spiegazione alla sua personalità e alla sua fervida immaginazione; si sa che chi è vittima di violenza (di qualsiasi tipo) cerca una via di uscita in una dimensione lontana dalla sua, e così Anna chiude gli occhi e diventa la bellissima principessa Cordelia, da un nome a qualunque cosa bella, inventa storie su oggetti inanimati. E tira avanti, cercando di essere ottimista anche nei momenti più bui.
Durante il suo primo viaggio a Green Gable infatti dice “preferisco immaginare che ricordare”, e presto si scopre il perché.
Altra cosa secondo me perfettamente riuscita è la sceneggiatura: dialoghi fatti di monologhi spesso assurdi non risultano mai noiosi o banali o esagerati, le interazioni tra i personaggi sono realistiche e spesso commoventi; la fotografia, i paesaggi, le inquadrature, tutto è pensato e studiato… Insomma, è proprio targato Netflix.

Per chi l’avesse già visto… A me è piaciuta tanto la scena della goccia d’acqua sulla mano di Gilbert.
Passando a quello che non mi è piaciuto… Direi la seconda puntata. Quasi in toto. Noiosa e fondamentalmente inutile se non per qualche flashback del passato di Anne.
Per il resto a parte un paio di scene con Diana che mi hanno effettivamente fatto roteare gli occhi direi che non ho altro da dire.
Bella, bella e ancora una volta bella. La storia di partenza è quella (ahimè) ma questa versione merita una possibilità, tenendo conto del genere di telefilm che si sta per guardare.
E voi l’avete vista? Vi è piaciuta? Quanto era brutto il cartone??
Fatemi sapere tutto quello che volete, vado a pensare a Gilbert ancora un po’.

