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La storia della mia depressione, parte 1


Buongiorno miei adorati Spelacchiati, come state?
Oggi vorrei fare un post diverso dal solito imbecille a cui vi sto abituando con la mia idiozia.
Oggi vorrei iniziare un racconto serio della mia depressione. Non so perché, forse sto cercando di capire come raccontarla a Mr Batterista, forse le sedute con la psicologa stanno andando bene e voglio guardare da dove sono partita. Forse spero che anche soltanto una persona leggendo queste righe possa sentirsi vagamente meno isolata.
Insomma regà, oggi peso. Vi chiedo già scusa, e se non avrete voglia di leggere avete tutta la mia spelacchiatissima comprensione.

Cominciamo?
Via.

Non so bene quando sia cominciata questa cosa. Questa sensazione spossante di stanchezza, di noia, di non voler far niente. Può essere che sia stata sempre così, fin da bambina, una specie di tratto caratteriale bislacco che poi si è evoluto in qualcosa di decisamente problematico.
Credo di aver cominciato ad avere un problema all’ultimo anno di liceo: ero sempre stata una studentessa bravissima -matematica a parte, facevo, faccio e farò per sempre cagare coi numeri- e all’improvviso ero svogliata e sbuffavo quando i professori mi chiamavano. Dormivo poco e male, prendevo voti più bassi e stavo spesso a casa.
Poi è iniziata l’università, io dormivo sempre peggio tanto da passare notti di fila insonni; una volta è venuta la guardia medica a darmi una specie di sedativo, non ricordo bene, perché avevo tremori incontrollabili e mi sembrava mi si stesse spaccando il cranietto dal mal di testa. Non dormivo da più di 50 ore.

Piangevo ovunque. Appena ero da sola scoppiavo in lacrime. Sul treno per tornare a casa, in bagno quando mi ci rifugiavo durante le cene, di notte nel mio letto. Con gli altri cercavo di dare una parvenza di normalità, anche se non ero più la persona solare di sempre.

Passano i mesi e gli anni, e io mi ripetevo che era una fase, un “momemento no”.
Solo che era molto peggio di un momento no.
Era come se tutte le emozioni positive le sentissi molto attenuate, come se a viverle fosse un’altra persona, mentre quelle negative mi travolgevano con intensità moltiplicata per dieci. Insomma, ‘nammerda.
Mi capitava quello che si chiama “depersonalizzazione” o “derealizzazione”: mi sentivo fuori dal mio corpo. Non ero io a vivere le situazioni, era come guardare un film. Un film tra l’altro particolarmente noioso, e io ero sempre sul punto di addormentarmi; mi sentivo in un limbo strano, molto distante da tutto.
“Ma queste persone stanno parlando con me? mi hanno chiesto qualcosa? Non mi ricordo cos’ho fatto dieci minuti fa. Dov’ero ieri a pranzo?”.
E’ una sensazione quasi inspiegabile a parole, me ne rendo conto.
Non ero più io, ero un fantoccio che si muoveva e respirava per inerzia.
Pensavo che avrei vissuto così per sempre, senza sentire niente se non angoscia e disperazione.
Credo che disperazione sia la parola che nei primi mesi ho usato più spesso durante le sedute con la psicologa.

In tutto ciò l’estate di quattro anni fa ho deciso di andare a fare una vacanza studio, un mese e mezzo in Germania. Volevo lasciare tutto indietro, pensavo che una scossa mi avrebbe aiutata. Sapete, tutta quella roba del “rimani in movimento bla bla bla”, ma vaffanculo. Volevo solo dormire tutto il giorno. Volevo stare sdraiata per terra a fissare il soffitto, ed effettivamente era quello che facevo la maggior parte del tempo.
Il viaggio in Germania comunque mi ha fatto peggio: lì ho avuto la prima crisi suicida vera e propria. Non ho provato a togliermi la vita, ma c’è stato un momento in cui l’idea è stata spaventosamente concreta, non più una vaga ipotesi che turbinava qua e là nel mio piccolo, chiaramente bacato cervelletto sottosviluppato.

La cosa più assurda della mia storia credo sia questa: la prima persona che si è accorta di come stavo è stata il professore del corso di tedesco lì a Friburgo.
Mi vedeva ogni giorno per quattro ore al giorno, pochissimo tempo rispetto ai miei amici e parenti, eppure dopo due settimane siamo andati tutti quanti a bere una birra in un posto con una vista spettacolare; ero in coda per prendermi una birra quando il professore mi ha fatto cenno di avvicinarmi.
Abbiamo parlato. Mi ha spiazzata. Con lui non avevo mai parlato di niente, soltanto le frasi esemplificative a lezione, eppure aveva captato qualcosa.
Dal nulla ci siamo isolati a un tavolo e mi ha raccontato con calma e intensità di come sua madre gli avesse salvato la vita trovandolo in piedi su una sedia con un cappio al collo. Aveva legato la corda a una trave della soffitta.
Mi ha detto che certi dolori li riconosci. E’ stato il primo -e forse l’unico, ora che ci penso- a dirmi che mi serviva una mano.
Sono tornata all’appartamento piangendo, e con la consapevolezza spaventosa di avere un problema.

Poi sono tornata in Italia, e qui ho conosciuto la persona che più mi ha fatto bene e male allo stesso tempo in quel periodo; ne avrò parlato un sacco qui sul blog, lo avevo soprannominato Il Pirla perchè lo amavo e lo odiavo contemporaneamente e lui se ne stava in balia delle mie emozioni senza fare nulla.
Non abbiamo mai avuto una storia, ma quello che avevamo era malsano, ora lo vedo. 

Lui era esattamente quello che cercavo inconsciamente: un continuo, costante ribadire che io non ero abbastanza.
Non a parole, quello mai.
Ma con lui sono stati mesi e mesi di “mi piaci tantissimo, ma non possiamo stare insieme” “vorrei davvero, ma è meglio di no”, che nella mia testa era un logorante, estenuante: non sei abbastanza. Abbastanza cosa? Abbastanza tutto. Qualunque aggettivo positivo potesse venirmi in mente, io non lo ero.
Non ero abbastanza: carismatica, intelligente, carina, atletica, interessante, amabile audace, intraprendente, divertente, attraente.

Non ero niente e non mi sentivo niente, e mi sembrava semplicemente ovvio che lui non mi desiderasse, che non volesse nemmeno provare a stare con me. Perché non ne valevo la pena. Tutt’ora ho questo pensiero: non ne valgo la pena. E’ abbastanza difficile convivere con questa convinzione, ma ci sto lavorando.
Insomma, lui era quello che mi serviva per rimanere a galla: era una boa nell’oceano in tempesta che era il mio cervelletto depresso; sapere che l’avrei visto il giorno dopo o nel weekend mi faceva andare avanti; ero impaziente all’idea di incontrarlo. Allo stesso tempo era la persona peggiore che potessi trovare, perché ha reso le mie insicurezze ancora più solide e più difficili da estirpare.

In realtà ci facevamo del male e del bene a vicenda.
Lui con me parlava di quante volte aveva pensato di impiccarsi in salotto, io gli confessavo di quella volta in cui ero stata sveglia tutta la notte pensando di tagliarmi le vene con il cotlello da cucina del mio coinquilino a Friburgo.

Non sapevamo come uscirne, però stare insieme ci faceva bene.
Con lui mi sentivo a posto, poi tornavo a casa e mi demolivo ogni volta di più.

Alla fine ho deciso di andare in terapia.
Credo che la prima telefonata, quella per prendere appuntamento per la prima seduta di psicoterapia, sia stata una delle più difficili della mia esistenza spelacchiata. Voleva dire arrendersi all’idea di avere un problema, cosa che io continuavo a negare a me stessa.

Non mi sentivo meritevole nemmeno di avere una malattia mentale.

Fine prima parte

Regà, che pesantezza eh?
Chiedo venia. Non so, oggi sono in modalità “flusso di coscienza palloso e melodrammatico”.
Non sono sicura di scrivere la seconda parte, forse non interessa a nessuno ed è un’agonia starmi a leggere quando scrivo cose serie, BOH! Se vi va ditemi la vostra.
Ovviamente mi farebbe piacere leggere i vostri commenti spelacchiati, di qualunque natura: sia cose serie sia cose imbecilli per tirarmi fuori da questo viale dei ricordi.
In ogni caso, vi attendo con impazienza.
Buona serata Spelacchiati miei, hasta la pasta!

Autore:

Simpatica come una piaga da decupito e fine come un babbuino che si gratta il sedere. Se vi va di scambiare quattro chiacchiere, mandarmi mail minatorie o proporre una bevuta insieme: pensierispelacchiati@gmail.com

99 pensieri riguardo “La storia della mia depressione, parte 1

  1. Brava Sara, come sempre sei coinvolgente il che elimina il pesante o il noioso che potresti presupporre. Essere una persona allegra e divertente non preclude il proprio lato più emotivo, riflessivo e delicato, forse ci si aspetta che il prossimo non capisca e che ci sia solo perché…wauuu fuochi d’artificio e piroette ed invece non è così. Chi ti apprezza nel tuo giocare, intuisce anche la tua profondità. Sul il “non sono abbastanza” …ci sarebbe tanto altro da dire….ma poi diverrei io pesante 😅

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  2. ciao Sara!
    Prima di tutto complimenti per averne parlato, deve essere stata dura, ma credimi anche quello aiuta.
    La depressione è una malattia subdola e, a volte, è anche una compagna di vita delle persone con una sensibilità diversa. Io, i picchi di depressione, li ho avuti due volte, la prima tentando il suicidio, la seconda pensando al suicidio mentre tenevo mia figlia in braccio.
    Ecco, lì è scattata la molla che mi ha fatto reagire, per lei, non per me. Perché se anche dalla depressione si può guarire, il mal dii vivere resta sempre. (Ti consiglio di leggere “L’uomo che trema” di Andrea Pomella, a tal proposito)

    Comunque, se posso: vai di terapia che aiuta molto; evita, se puoi, gli antidepressivi; se non lo hai fatto controlla anche eventuali disfunzioni della tiroide: io dopo la depressione sto combattendo anche con l’ipertiroidismo e le sensazioni e stati d’animo sono gli stessi…

    Aspetto la seconda parte 😊

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    1. Ciao caro, il tuo commento mi ha fatto riflettere molto perché sentire che hai tentato il suicidio, sapendo come stavo io quando ci pensavo concretamente, mi ha fatto stringere il cuore. Spero che tu ora stia meglio 💜
      Ti ringrazio tantissimo per il tuo commento e anche per il consiglio di lettura, se mai vorrai parlare io sono qui!
      💜

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  3. Si beh… Non puoi lasciare in sospeso un racconto così pregno e ben scritto… Anzi volendo puoi anche scendere più nel dettaglio e dilatare ancora di più la narrazione…
    Spero ci sia un lieto fine o qualcosa di assimilabile ad esso!

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  4. Ti abbraccio forte, anche se tramite bit. Abbiamo bisogno di legami, cerca di ricordarlo sempre, ma di legami sani! Tieni vicine le persone che vogliono bene, lascia andare quelle che ti fanno sentire inadeguata. E condividi, buttare fuori fa sempre bene

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  5. Se ti fa bene scriverla, se senti di doverla scrivere, scrivi la tua storia e basta. Lasciala a metà, se non vuoi scrivere altre parti. Secondo me, che non sono esperta di nulla, aiuta te e può aiutare qualcun altro spelacchiato. Un abbraccio.

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    1. Wow, la tua lettera mi è piaciuta tantissimo e per certe cose sembrava di leggere uno scritto dedicato proprio a me. Bella. Bravo. Spero che la tua amica stia meglio ora, sicuramente avere un amico come te può solo farle bene.
      Grazie mille per il tuo commento 💜

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  6. Allora, rispondendo alla prima domanda: sto bene, in procinto di tante nanne.
    Seconda: mi hai fatto riflettere, anche io sto vivendo una fase no perché mi sento solo, non isolato ma asociale. Una dottoressa mi ha anche detto però che la mia stanchezza è legata a un virus, per cui spero di stare meglio

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  7. Modalità barboso filosofo (On). Vedi cara Sara, purtroppo c’è troppa pressione nelle nostre vite, e anche tentando con tutte le forze non riusciremo mai a essere abbastanza. Intendo dire abbastanza belli, o abbastanza ricchi, o intelligenti, o magri o chissà cosa. In breve, i dadi sono truccati e i nostri standard troppo elevati. L’unico modo per diminuire la pressione è convincerci che non dobbiamo dimostrare niente a nessuno, soprattutto a noi stessi, e vivere di conseguenza!
    🤔😏😜
    P.S. Hakuna Matata!

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  8. Ciao Sara la tua storia , come leggerai dai miei articoli mi ha un po’ toccato , a che se non ho conosciuto la depersonalizzazione, comunque anche io sto facendo un percorso da uno psicoterapeuta . Ti ho inviato una mail se ti va rispondi 🙂

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  9. Ciao Sara,
    beh, un post molto diverso da quelli a cui ci hai abituato e decisamente “serio”, ma l’ho letto volentieri e sono felice tu l’abbia scritto.
    Felice perché stai buttando fuori quello che c’è dentro di te e che, se continua a rimanerci, alla lunga ti avrebbe fatto male, incancrenendosi e diventando veleno puro.
    Mi dispiace davvero tu abbia dovuto affrontare una prova così dura e sono felice che tu abbia trovato una via d’uscita e una o più persone in grado di aiutarti.
    Di mio ti posso dire: non arrenderti mai, anche perché, egoisticamente, mi piace leggere i tuoi post 😉
    Un super abbraccio, a presto!

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  10. A me la tua storia interessa perché bene o male sono stato vicino a persone con problemi forse simili ai tuoi. Se troverai la voglia di scriverla, ne sarò felice. 🙂 Se però alla lunga parlarne ti angoscia, non fa niente.
    Per quanto riguarda questo tipo di patologie, io ormai mi sono fissato che si tratti sempre, in fondo, di qualcosa di concreto a livello fisico. Alcuni esempi: il tuo corpo non riesce a gestire bene una certa sostanza che produce da solo; oppure può essere che delle droghe (che magari neppure ti fai tu, ma si fanno i tuoi vicini senza che te ne renda conto) ti fanno degli effetti strani; oppure una carenza nel tuo corpo di qualche vitamina (semplifico)… Sarebbe bello sapere se e quanto ci piglio…
    Sennò un’altra cosa a cui ho pensato, questa specificatamente per la depressione, è che chi si ammala di questa patologia possa farlo poiché “troppo sensibile”: in pratica le cose brutte che accadono nel mondo finiscono per scoraggiare a livello inconscio e si entra in una spirale da cui poi è difficoltoso uscire…
    In ogni caso, in bocca al lupo per tutto.

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    1. Hai fondamentalmente ragione: come penso racconterò nella prossima parte, il mio psichiatra a un certo punto mi ha detto “se ora mettessimo a confronto il tuo cervello e quello di una persona non affetta da depressione, vedresti delle differenze enormi” proprio perché a livello di produzione di determinati enzimi c’erano problemi, e anche determinati recettori erano assolutamente inibiti.
      Grazie mille per il tuo commento 💜💜
      Alla prossima 💜

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  11. Spero che continuerai il tuo racconto. Ci vuole coraggio per parlarne apertamente e con onestà. Mi dispiace veramente tanto per quello che ti è capitato e – spero in maniera minore – stai ancora sperimentando. Sono cose difficili da spiegare e da capire. L’importante è essere accettati e, soprattutto, creduti. Sulla fiducia. Mi auguro che qualche persona a te vicina sia in grado di farlo, ma quel “viale” lo devi attraversare. P. S. L’ironia è un’ancora di salvezza non di poco conto. Contrariamente ad altri commentatori, qui ne ho trovata poca. Tuttavia, nessuna pesantezza. Se posso permettermi, ti consiglierei di leggere Ritratto della malinconia, del filosofo Romano Guardini (tranquilla, è breve). Un abbraccio, Francesca

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  12. Sara cara (lo so inizio sempre così ma è una assonanza adorabile), come molti altri ti posso assicurare che questo post è serio, ma non noioso. Fa bene leggerlo perchè per molti è ritrovarsi… ma per alcuni (tipo la sottoscritta) è provare ad avvicinarsi a quello che c’è nella testa di persone che si amano e che si vedono annegare nel loro malessere senza riuscire ad aiutarle. In tante cose che hai scritto ci ho visto la mia sorellina e avrei voluto abbracciarla e insieme abbracciare te. Grazie per aver passato il messaggio che da queste cose si può uscire, se si vuole. ❤

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  13. Guarda, io non ti conosco ma vorrei!
    So di cosa parli – Come lo capisco! – e so anche che quando puoi iniziare a parlarne anche se tu lacera inizi ad essere libero dal mostro che ti abita.
    Quindi grazie perché me lo hai ricordato!

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  14. Ciao, quello che mi sento di dirti è questo: sei una terapia per tutti coloro che ti seguono e scrivono, il periodo storico è quello che è, fai bene a ricordare e scrivere tutto quello che ti passa per la mente, ci sono state nella tua vita persone che ti hanno “guardata”, portandoti a prendere decisioni importanti, lo sai che le abitudini portano a non vedere più bene ciò che abbiamo intorno, ecco che il professore abituato a capire lo studente entra in gioco, spero che la terapia funzioni e che riesca a metterti in “carreggiata”. Un ultima cosa che ti posso dire è che forse ti manca una tua casa, una tua vita da gestire, una indipendenza nella società, un posto in cui sei soltanto tu a muovere le cose.
    Ti mando un grosso abbraccio e. … Guardati allo specchio! 😉

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    1. Non so come ringraziarti per il tuo commento carinissimo e che mi ha fatto bene leggere.
      Sicuramente avere un’indipendenza totale mi aiuterebbe molto, a volte sento proprio la pesantezza del vivere ancora con i miei… Spero di poterci riuscire presto.
      Ancora grazie per il tuo meraviglioso commento, spero di risentirti presto 🙂

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  15. Se devo essere sincera mi ritrovo in molte parti del tuo racconto. Posso capire come ci si sente perchè anche io ho vissuto un periodo piuttosto lungo, che in realtà non è mai passato, in cui io ero consapevole che avevo bisogno di parlare con qualcuno. Ci sono arrivata tardi, quando ormai non ero più una ragazzina. Nel mio caso la psicologa che mi ha seguito non ha portato alcun giovamento purtroppo e ho quindi mollato il percorso. Poche le cose concrete: l’amore che provo per la vita e alla quale non vi ci rinuncerei per nulla e il ragazzo che è diventato poi mio marito. Ecco è lui il mio faro, quello che posso vedere anche in lontananza, quello sempre accesso che individuo tra mille! Attendo di leggere la seconda parte 🙂

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    1. Che belle le tue parole su tuo marito, sono contenta che tu abbia trovato una persona che sappia starti accanto…penso sappiamo entrambe che non è una cosa da tutti!
      Grazie mille per il tuo commento, facciamoci forza 🙂 A presto!

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  16. I flussi di coscienza alle volte sono necessari per fare un po’ i conti sul dove eravamo e soprattutto dove siamo e a crescere! Mettere poi tutto su carta lo rende più vero!
    Sono in attesa della seconda parte 🙂 You rule girl!

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    1. E’ vero, mi sono accorta anche io che mettere nero su bianco questa parte del mio percorso mi ha aiutata a mettere a fuoco quello su cui ancora devo lavorare!
      Grazie mille, sei carinissima 💜
      A presto 🙂

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  17. Ciao, come hanno già scritto in tanti, questa storia non è noiosa, anzi… Inoltre scrivere, in molti frangenti, può aiutare tantissimo, anche per esperienze che ho vissuto personalmente. Continua con la seconda parte.

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  18. non è che per forza ci debba essere una seconda parte da scrivere qui, solo se questo può avere un effetto positivo su di te.
    sicuramente l’aver messo nero su bianco in pubblico (e soprattutto l’essere andata in terapia) è un importante passo avanti rispetto alla negazione del problema.
    hai descritto con chiarezza, lucidità e bravura quegli stati d’animo (“non sono abbastanza”, “disperazione”, “disinteresse per il mondo circostante”) che formano la spirale su cui ci si avvita quando si soffre del “male di vivere”. La consapevolezza che hai mostrato e l’averla messa al servizio di chi legge mi dicono che sei più in gamba di come ti sei dipinta (forse non sei abbastanza, ma sei già parecchio!) e che stai percorrendo con le tue forze (anche il coraggio di chiedere aiuto è una propria forza) verso il tuo benessere mentale e fisico.
    un sorriso solidale
    ml

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    1. Il tuo commento mi ha fatta sorridere e ti ringrazio tantissimo per tutte le belle parole che hai speso per me, ammetto che anche leggere commenti come il tuo per me è “terapeutico”.
      Cercherò di continuare in questo percorso.
      Grazie mille, davvero.

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  19. Capisco bene cosa significa. Questo mi succedeva molto spesso quando ero piccolo. Mi sentivo vuoto e avevo la sensazione di assistere a tutto ciò che mi succedeva da un punto di vista esterno, proprio come se vedessi un film. Adesso questi momenti sono molto meno ma a volte tendono a tornare. In ogni caso complimenti al tuo professore di tedesco per aver compreso la situazione.

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  20. Cara Sars (ho scelto apposta di scambiare la A con la S, giusto per evitare la rima baciata che, non si sa mai, magari non ti piace),

    vorrei dirti un paio di cose – non richieste, lo so, ma porta pazienza – quindi preparati a leggere le parole di vicinanza di una perfetta sconosciuta!
    Innanzitutto, ti ringrazio per aver condiviso te stessa. Non è affatto semplice, non è scontato e non è, a parer mio, qualcosa da prendere alla leggera. Ci hai messo fra le mani una cosa importante, che non ti abbiamo domandato e che qualcuno, probabilmente, nemmeno si merita: parte del tuo essere.

    Ciò che mi porta a scriverti è il fatto che con la tua storia hai descritto anche un po’ di me pur senza conoscermi e la cosa, devo proprio ammetterlo, mi fa piacere e mi consola (anche se, ovviamente, l’argomento depressione in sé è tutto fuorché piacevole e consolatorio).
    Mi sono sentita come te per tanto, tanto tempo e ne sto uscendo pian piano da relativamente troppo poco. Il mio sentirmi meno me stessa, meno valida, sempre più un peso mi ha portata a tentare inconsciamente di annullarmi e sto ritrovando la forza per riscrivere la mia storia solo grazie al supporto di esterni e a non so quale coraggio che, chissà come, ho trovato da qualche parte dentro di me. Voler riscrivere me stessa (o sovrascrivere, tipo quando nei videogiochi dei pokémon bypassi i dati precedenti per sostituirli con quelli nuovi, più completi ed avanzati) mi ha spinta ad aprire un blog e a fare della mia passione per la scrittura un nuovo punto di partenza per la me di adesso.

    Leggerti così mi aiuta, ti rende parte di quel “supporto di esterni” che mi sta dando una mano a ritrovare la serenità perduta. Quindi grazie, grazie per il coraggio e per esserci per te stessa quanto per noi lettori.

    In ultimo, ti ringrazio anche perché proprio tu, guarda caso, sei stata la prima persona a regalare un like ad un mio post! Mi sembra dunque più che naturale che, ora, tu sia la prima blogger nella storia di tutti i blogger a ricevere un mio commento (mi scuso per la lunghezza, intanto che ci sono).

    Ti auguro una buona giornata e spero di leggerti ancora molto presto. Ah, sarebbe bello anche parlare di libri (e di Tom Hiddlestone) assieme!

    Un abbraccio virtuale e non infettivo,

    La Marti

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  21. Tu puoi anche aver pensato al suicidio, ma lui a te non ci pensa proprio. E’ un amore non corrisposto, come altri mi pare ti capiti di averne. Auguri, Si.

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  22. Ex spelacchiatissima Sarina, Saretta o semplicemente Sara, be’ direi che hai iniziato alla grande. Probabilmente hai calibrato bene il centro da colpire e sviscerare. Dire di sè agli altri non è facile, per cui va bene e perciò devi continuare. Qualunque sia il numero di chi viene da te a leggerti, devi tassativamente continuare. E’ un ordine, anche se sei la(ex) regina degli spelacchiati. Certo, se c’è il riscontro e i commenti di un ampio, vasto e numerosissimo pubblico la cosa prende una piega anche divertente.

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  23. Dopo 92 commenti qualsiasi cosa si dica è già stata detta. Nella conoscenza diretta, nella pacca sulla spalla, nella vicinanza. La depressione è unica e diffusa, ognuno ha la sua per motivi suoi, che vanno dalla predisposizione alla vita trascorsa, da quello che non c’è stato a quello che c’è stato. Faccio parte di quelli che cercano di controllarla quando esagera e che l’apprezzano per le sue capacità aggiuntive quando si accontenta di parlare con me. La profondità di sentire che regala rende diversi, tanto diversi da rischiare l’incomunicabilita. Con chi si può parlare se la Comunicazione vera è solo quella profonda che include fiducia, lasciarsi andare e amore? Con pochi eletti oppure con il proprio silenzio. Non credo di aver nulla da dire oltre se non che la melancholia ~ qualcosa che non impedisce l’intelligenza l’ironia, la visione profonda del vivere. E con un poca di autoironia tutto trova un posto, anche la vita.

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  24. Ciao, lentamente sto recuperando gli articoli del tuo blog. Mi ha colpito molto la frase del tuo professore “certi dolori li riconosci”. Quanto è vero! Quando provi tu stesso questo tipo di sofferenza lo leggi chiaramente anche negli altri.

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    1. Ma che pazienza che hai a recuperare gli articoli passati, apprezzo tantissimo!
      Si, quella frase del mio professore mi aveva colpita tantissimo e tutt’ora mi sembra incredibile che lui, vedendomi qualche ora, sia riuscito a capire cosa stessi provando. Pazzesco.. È proprio vero che riconosci la sofferenza negli altri quando l’hai provata tu in primis..

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